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lunedì 19 aprile 2010

Sovrapposizioni sul silenzio

Lungomare di Nervi, a Genova. Una soleggiata mattina di gennaio. Insieme a Daniele e alla mia ragazza ci apprestavamo a girare l'ultima video-poesia di Rockpoeta On The Road. La poesia in questione era "il silenzio" e Daniele ci aveva portato in quello scorcio di Liguria perché lì voleva ambientare la lettura dei suoi versi. Ma tra un ciak e l'altro la suggestione atemporale di quel posto mi rapì. E con ancora in testa i versi di Daniele l'occhio indiscreto della camera cominciò a muoversi tra le scogliere e il mare, tra gli scoiattoli del parco e le baracche dei pescatori. Tutto cominciò a sovrapporsi e riemersero anche altre sensazioni. Sarebbe un peccato, pensai, lasciarle scorrere via. E in quel momento non avevo voglia di peccare. E quindi è nato questo video.

lunedì 26 ottobre 2009

Freeze Frame

Soffermarsi su un fotogramma. Congelarlo. Estraniarlo dal flusso. E rimanere lì, ad ascoltare cosa dice. No, non sono pazzo. O forse sì.

martedì 22 settembre 2009

[zero]



Perugia, febbraio 2005

Immagina un uomo
pensalo in una stanza, seduto
poi immagina il silenzio...

domenica 28 ottobre 2007

Schegge di un'allucinazione


E se io, camminando con gli occhiali da sole

in un labirinto allucinogeno

con le pareti gialle & verdi & fosforescenti

incontrassi distrattamente

una ragazza nuda ma con i guanti

e le chiedessi

Dov’è la realtà?

e lei

tagliandosi i capelli a zero

& coprendosi le ginocchia

mi rispondesse

La realtà? Non so, non la conosco

Non sarebbe

stupendo?

lunedì 30 luglio 2007

David Lynch - Come un viaggio con la mescalina che finisce male



Ammettiamolo. A prima vista Inland Empire sembrano le visioni degeneri di un macaco strafatto di crack. Anche per gli appassionati di Lynch e dell’assurdo questa volta il Maestro sembra aver esagerato. Il suo consueto straripamento visionario stavolta è partito per la tangente, le immagini sono dissociate come un viaggio con la mescalina che finisce male, è anche se lo si guarda dal punto di vista esclusivamente emotivo è difficile trovarsi coinvolti, a meno che si sia Albert Hofmann. Qualche lato positivo però in questo lavoro lo vedo, anche se più sul lato delle intenzioni che su quello del risultato. Ovvero quella tensione allo sperimentare che non dovrebbe mai abbandonare nessun regista. E Lynch con questo film conferma il suo desiderio di cambiare continuamente le carte in tavola. Come per esempio la scelta di esplorare a fondo le nuove potenzialità del digitale, o quella di inventarsi nuove forme di racconto dalle macerie di una struttura narrativa. Certo, come per tutte la fasi spericolate della sperimentazione, di critiche ce ne sarebbe tante, alcune anche violente (chiedete agli ignari spettatori che hanno sborsato 6 euro e 50 per vederlo al cinema senza sapere minimamente di cosa si trattasse). Però ad uno che all’accusa di fare film senza senso risponde “E’ bizzarro, la gente accetta tranquillamente che la vita non abbia senso e poi si lamenta perché i miei film non ce l’hanno” non può che andare tutta la mia ammirazione. E per stavolta gli perdoniamo il delirio lisergico che ha impresso sulla pellicola. Pardon, sui pixel.