mercoledì 2 settembre 2009

Lost Zone - ... sul progetto (parte II)

Proseguo quest'abbozzo di serial iniziato nel post precedente. Lì ho fatto una sintesi sulle premesse politiche e sociali che portano alla nascita della cosiddetta Zona Franca, mentre ora mi vorrei soffermare sulla Zona Franca vera e propria. Dunque, abbiamo detto che si tratta di un territorio al di fuori della giurisdizione del regime in cui è concesso trasferirsi in caso di dissenso.


Il territorio in questione fu scelto perché, seppur piuttosto florido, era a forte rischio sismico, e nel corso degli ultimi decenni aveva subito diversi terremoti. La mancanza di una politica di messa in sicurezza aveva portato ad uno spopolamento graduale della zona, sino a renderla ormai disabitata. Il regime, per evitare che tornassero alla mente polemiche poco gradite, aveva preferito abbandonare la zona. Questo fino al giorno in cui idearono la Zona Franca. Quello era il territorio ideale: libero da insediamenti e interessi economici e poi poco apprezzato dal cittadino medio.


Al momento dell'istituzione della Zona Franca, i primi che vi si trasferirono furono i gruppi clandestini di dissidenti. Avevano forti dubbi sull'autenticità di questa zona, ma la morsa repressiva del regime li stava dissanguando e, seppur consapevoli del rischio, decisero comunque di tentare. Ed ebbero ragione. I primi mesi la Zona Franca appariva davvero come un paradiso in terra, principalmente perché finalmente erano liberi di incontrarsi e parlare liberamente. Certo, era una terra selvaggia ed era difficile anche procurarsi l'acqua e il cibo, ma ai dissidenti l'adrenalina di essere tornati nuovamente liberi faceva sopportare tutto il resto.


L'idillio però, non durò molto. Passati i primi mesi, in cui c'erano gli occhi dell'opinione pubblica puntati su questa zona, qualcosa cambiò. Radicalmente. E Il regime tornò a mostrare il solito volto...

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